Linguistica

“Metalinguaggio e totolinguaggio”: un saggio del professor Ermete Ferraro

In occasione dei 50 anni dalla morte di Totò, il prof. Ermete Ferrarovi ha tenuto un intervento intitolato “Parli come badi!” sull’originalissima lingua del principe della risata, nell’evento ‘A festa d’ ‘a Lengua Nosta, la festa celebrativa della lingua, della storia e delle tradizioni di Napoli, organizzata dall’Associazione Giambattista Basile, tenutasi dal 12 al 14 maggio 2017. Vi propongo un suo saggio, intitolato “Metalinguaggio e totolinguaggio”, ovvero, un’interessante analisi di alcune delle migliori battute di Totò, che ci farà scoprire il modo in cui dal gioco linguistico il principe della risata riesce a far scaturire l’effetto comico e, a guardare più profondamente, anche una profonda riflessione sull’assurdità e sull’ipocrisia di alcune forme di comunicazione umana.

1.  Parli come badi !

Ho sempre provato un’irresistibile attrazione per il linguaggio di Totò. A prescindere dall’evidente caratterizzazione umoristica del suo incredibile ed originalissimo idioma, ciò che mi ha sempre colpito era la sua capacità di trasformare funambolicamente la realtà, capovolgendola ed esaltandone gli aspetti più paradossali. Certo, sarebbe più semplice farsi quattro risate con le sue battute – le uniche che potrei ascoltare per innumerevoli volte senza che il loro effetto comico si esaurisca – ma mi sembrerebbe troppo poco e gli renderebbe un merito assai limitato.

C’è stato un tempo in cui avevo pensato di dedicarmi ad un approfondimento della lingua di Totò, ma poi ho rinviato a lungo la realizzazione di questo progetto, fino ad accorgermi che un ottimo linguista, Fabio Rossi, aveva già prodotto uno studio sistematico sull’argomento. Il libro s’intitola “La lingua in gioco – Da Totò a lezione di retorica”, è stato pubblicato nel 2002 dall’editore Bulzoni ed è aperto da un’illustre prefazione, firmata da Tullio De Mauro. E da tale Maestro – recentemente scomparso – a Rossi viene il riconoscimento della serietà ed accuratezza di questo studio sul linguaggio rivoluzionario ed anti-stereotipico di Totò.

“L’intero materiale verbale di Totò è stato da Rossi esplorato in ogni piega. Gli strumenti d’analisi e i reattivi della linguistica, dalla vecchia e solida dialettologia, alla linguistica up-to date…. pragmalinguistica, neoretorica, semantica, textlinguistik, rules changing creativity, palinsesti celati nel significante e fatti esplodere, tutti sono stati adoperati sistematicamente, di capitolo in capitolo, per scomporre e ricostruire criticamente il significato d’insieme del lavoro linguistico svolto da Totò….” [i]

Di fronte a questa esauriente e documentatissima ricerca, sarebbe ‘interurbano’ da parte mia tentare di scrivere qualcosa di nuovo o di originale. Semmai, potrei provare a riprendere alcune osservazioni di Fabio Rossi per riflettere sulla necessità di riscoprire, ancora oggi, l’incredibile serbatoio di giochi di parole e di artifici retorici che hanno rivoluzionato il concetto stesso di comicità. Una comicità per troppo tempo giudicata ‘leggera’, mentre era tutto meno che superficiale, in quanto metteva impietosamente a nudo l’ipocrisia ed il ridicolo di certe situazioni e di certi modi di esprimersi. Una delle sue possibili chiavi interpretative, infatti,  potrebbe essere l’irresistibile monito di Totò: “Parli come badi!”, classico esempio di sconfitta clamorosa delle frasi fatte, ricorrendo ad un nonsense che ne capovolge la logica prevedibile e stereotipata.

“ I linguaggi burocratico, politico e commerciale, in particolare, sembrano fatti essenzialmente di usi irriflessi. Il linguaggio comico, e nella fattispecie quello di Totò, molto spesso infrange tale automatismo, ora invertendo l’ordine delle espressioni cristallizzate (desto o son sogno), ora deformandone i termini (volare è potare), ora sostituendo una delle parole che compongono la collocazione (sedia a gas). Ancora una volta, dunque, ridendo e divertendo, Totò ci induce (malgré lui) a riflettere sullo statuto stesso della comunicazione e a porci, nei limiti del possibile, al di fuori della lingua che parliamo, per osservarla meglio e per capirne gli usi irriflessi e le condizioni del suo funzionamento e della sua comprensibilità. “ [ii]

Si sa che l’umorismo si fonda anche e soprattutto su meccanismi capaci di sorprenderci, di demistificare le convenzioni e di smascherare quello che Pirandello chiamava l’‘autoinganno’ della vita, ma bisogna riconoscere a Totò una capacità eccezionale di farlo non solo a livello di capovolgimento delle situazioni e di mimica grottesca, ma principalmente a livello linguistico, sia sul piano semantico sia su quello morfo-sintattico.

Badare a come parlava Totò, quindi, mi sembra il modo migliore per comprenderne lo spirito profondamente innovativo, che i critici hanno scoperto solo molto tardi e che ha portato ad una ‘riabilitazione’ dei suoi film. Sarebbe impossibile concentrare in poche pagine le caratteristiche accuratamente analizzate e catalogate nello studio di Rossi, per cui mi limiterò a metterne in evidenza solo alcune, a partire da una mia particolare sensibilità a determinati aspetti dell’universo totoiano.

2 . Modestamende, qualche lingua la parlo…   

Il primo elemento di questa carrellata sulle straordinarie facoltà espressive di Antonio de Curtis è, naturalmente,  il suo giocare sulle caratterizzazioni linguistica, e quindi sulla percezione deformata che di un certo idioma ha chi non lo conosce. È’ proprio grazie allo stravolgimento dello strumento linguistico ‘medio’ che egli otteneva effetti unici, da quello irriflesso del riso fino ad una più consapevole comprensione di ciò che rende ridicoli determinati modi di esprimersi. Uno di questi moventi comici è, non a caso, un dato caratteristico della nostra cultura contemporanea, cioè la crescente tendenza a far ricorso, a proposito e a sproposito, a quelli che una volta si chiamavano ‘forestierismi’,  usati spesso solo per apparire ciò che non si è. [iii]

[totolinguaingioco_200x277]  Ai tempi di Totò andavano molto di moda i francesismi, elementi posticci che avrebbero dovuto sembrare eleganti e che egli sconvolgeva e dissacrava, facendone spassose caricature, come nel caso di: “veramòn” (vraiment); “sciarcutièr“ (charcutier); “mo esce Antonio” (Moet-Chandon); “pedicuoio” (pedicure); “che jolì famme” (quelle jolie femme) ; “adiè mon petì sciù” (adieu mon peti choux); “le scioffèr son le scioffèr “(les  affaires sont les affaires): “colpo di fodero” (coup de foudre)  e così via.

Allo stesso procedimento erano sottoposti da Totò anche gli allora già molto diffusi anglicismi – frutto del dopoguerra e della presenza americana – con lo stesso effetto comico ed al tempo stesso straniante. Pensiamo ad espressioni come: “La colazione degli inglesi si scrive britofist ma si pronuncia bracfesso”; “Mister, prec, quo vadis?”; “nàighete clebbe” (night club); “scecchi” (cheques); “cambingo” (camping); “striptiamoci” (nel senso: di spogliamoci); “boi scùter” (boy scout); “fischi” (whisky); “ciriola” (cheer you).

In una società che si sforzava di apparire moderna e cosmopolita  (oggi diremmo ‘globalizzata’) il coltello sarcastico del Principe metteva a nudo il ridicolo di una competenza linguistica raccogliticcia e superficiale, che spesso diventava fonte di equivoci e doppi sensi. Ciò vale per le lingue straniere (come i pasticci linguistici ispirati dal tedesco e dallo spagnolo), ma anche per quelle ‘dotte’, che dovrebbero attestare la cultura ‘alta’ del parlante mentre, viceversa, ne rivelano l’ignoranza.  Nel primo caso siamo di fronte a divertenti battute, di cui cito qualche esemplare: “Bitter” (bitte) ; “tankscen” (dankeschoen) ; “aoffidersen” (auf wiedersehen); “Telefunken” (nel senso di ‘telefono’); “Sogno spagnolas, per la maiellas!”; “Corazòn: in spagnolo significa che ore sono”; “In spagnolo si dice ‘te quiero’, come bicchiero e carabiniero”; “Un uomo grasso, in spagnolo: ‘un ombre chiatto’ “, e via dicendo.

Nel secondo caso vengono a galla, invece, le pretese di chi ostenta un traballante latinorum per sembrare più autorevole. Si tratta di una vera e propria girandola di citazioni maccheroniche e deformazioni popolari, ormai celebri espressioni come: “Audax fortuna juventus”; “ezia e andìo”; “Castigat ridendo mores: ridendo castigo i mori”; “Gattibus frettolosibus fecit gattini guerces”; “De gustibus non ad libitum sputazzellam”; “Non esageramus!”; “Vigliacchibus, , mascalzonibus, farabuttibus!”; “Morsa tua vita mea” ; “abbondandis adbondandum” oppure “Lupus in fabula? C’è un lupo nella fabbrica…”.

“Come si vede già dai pochi esempi citati, l’uso delle lingue straniere risponde ad almeno tre importanti requisiti: innesca il meccanismo comico (sia per la semplice deformazione fonetica, sia perché talvolta nascono curiose omonimie […];  ritrae l’incertezza e l’emarginazione del parlante di scarsa cultura, che tenta, come meglio può, di capire e di farsi capire; deride l’abuso dei forestierismi in coloro che vogliono darsi un tono…” [ivi]

Alcune di queste espressioni  di Totò ci fanno tuttora sorridere, pur avendo perso un po’ della loro forza a causa del progressivo abbandono del latino come ingrediente della conversazione tra intellettuali. La presa in giro dei forestierismi, invece, resta molto attuale in un’età in cui il  linguaggio quotidiano è sempre più infarcito di termini stranieri, in particolare inglesi, molto frequentemente più orecchiati che davvero conosciuti e compresi.

Un discorso  a parte va fatto per il Napoletano e per i vari dialetti italiani, verso i quali il Principe ha sempre mostrato un atteggiamento piuttosto ambivalente, facendo il verso a questi ultimi – spesso ridicolizzati – ed utilizzando un miscuglio linguistico…parte nopeo e parte italiano. Il Napoletano, come osserva Rossi, non assume mai il carattere di una contrapposizione all’italiano ufficiale, semmai è l’antidoto popolare ad una lingua pomposa e pretenziosa, bersaglio della satira di Antonio de Curtis. Talvolta egli appare addirittura dialettofobo [v] , soprattutto quando sfotte i siciliani, i pugliesi oppure i ‘polentoni’ nordisti. In realtà le cadenze dialettali gli servono solo per far ridere, sottolineandone le ‘stranezze’ fonetiche e caratterizzando buffamente i personaggi.[vi]

3 . Parlate, parlate, òrsu..!

La carica comica del linguaggio totoiano, come giustamente è stato osservato, risiedeva in modo particolare nella sua inarrestabile ed inesauribile capacità di giocare con le parole, sezionandole, stravolgendole e facendo loro dire cose molto diverse da quelle prevedibili. Nelle sue battute, la logica combinatoria tipica del linguaggio verbale diventava un meccanismo scombinatorio, che non si limitava a dissacrare l’ovvietà, l’ipocrisia e la convenzionalità che troppo spesso le parole trasmettono, ma generava un codice linguistico del tutto originale. Ci troviamo dentro echi del dadaismo e della rivolta futurista, ma soprattutto la vena irridente irriverente e sfottente  che era caratteristica di un napoletano verace come lui.

“Totò è un dadaista della comunicazione, un giocoliere del linguaggio. Uno che le parole le sgretola, le tritura, le reimpasta. Le deforma espressionisticamente. Le reinventa. Sorprendente e impertinente: da vero buffone che smaschera il re, e lo mette a nudo….” [vii]

Da eccezionale ‘comico di parola’, egli tendeva a scavalcare il copione assegnato e ad improvvisare nel modo più istintivo ed anarchico, dando così un chiaro segno che non si trattava della recitazione di una parte, ma piuttosto di un’interazione verbale personale e spontanea, che gli nasceva da dentro irrefrenabile. Come osserva Roberto Escobar:

“Totò è esplosione iperbolica di desiderio, rivincita di quel che sta sotto su quel che sta sopra, trionfo della fame e del corpo e dell’amore su qualsiasi pretesa di ordine e stabilità. Gerarchie, onori, senso comune: mentre i suoi antagonisti sprofondano nel panico, Totò tutto travolge in un fiume di parole e di gesti impazziti, mascherando la ragione da follia e la follia da ragione” [viii].

Ebbene, nell’analisi condotta con scrupolo filologico da Fabio Rossi questo fiume di parole viene esplorato nelle sue componenti retoriche, facendo affiorare sì la consumata esperienza dell’attore da commedia dell’arte, ma anche un’insospettabile competenza lessicale e sintattica, che va ben oltre i tradizionali calembour del barzellettiere, del macchiettista o, oggi, del cabarettista. Certo, l’arguzia verbale di chi scherza con le parole resta la componente principale, ma non è l’unica. Il Witz, il motto di spirito – come ci ha spiegato S. Freud [ix] – va ben oltre i semplici giochetti con le parole finalizzati a provocare il riso. La tecnica della battuta di spirito, infatti, genera una vera e propria liberazione, scaricando tendenze inconsce e sprigionando una forza che altrimenti sarebbe rimasta repressa.  Nel linguaggio di Totò,  la liberazione espressiva veicolata dalle sue parole travolge gerarchie e convenzioni, luoghi comuni e distinzioni. Per quanto spontanea, essa fa comunque uso dei tradizionali espedienti  retorici classici, di cui Rossi ci fornisce un vero e proprio catalogo. Si va dall’accumulazione dei pleonasmi alle paronomàsie; dalle rime ed assonanze alle allitterazioni martellanti; dalle metàtesi che invertono l’ordine naturale alla immaginifica creazione di parole inesistenti, eppure allusive.

Elencare tali strumenti retorici non riesce però a rendere l’idea della girandola della sua espressività verbale, portata naturalmente più all’iperbole (cioè all’amplificazione) che alla litote (attenuazione); più all’imprecazione ed all’apostrofe che alla reticenza ed alla preterizione. Uno dei mezzi espressivi più efficacemente utilizzati, in ogni caso, resta sempre il nonsense, la cui forza sconvolge l’ordine razionale, rendendo reale l’assurdo.  Pensate a frasi come queste, dedicate ad un tema certo non facile come il mistero buffo della vita e della morte:

“Chi lascia la moglie morta per la viva, sa quello che lascia ma non quello che triva”; “Abbiamo vegliato la salma per tutta la notte: è stato un veglione”; “Voglio morire, mi voglio ammazzare; suicidatemi!”; “ Voi dite che sono morto? Perbacco, se lo avessi saputo sarei venuto vestito a lutto”; “Camposanto è un santo come un altro: Santo Campo”; “Un ex garibaldino morto mentre suonava la tromba: fu trombosi acuta, o acuto da trombetta?”.

Oppure assaporate battute come queste, che avevano spesso ad oggetto il rapporto con le donne:

“Alle donne piacciono gli uomini forti. Dal mio aspetto non si direbbe, la mia forza è truccata: sono un falso debole”; “Cara, ti vergogni di me perché sei vestita? Io sono in maniche di mutande”; “L’opulenza femminile è un dono, ma non tutte le opulenze riescono col buco”, “Mia moglie è un tipo apprensivo: sta sempre ad Anzio per me”; “Lei è vedovo di moglie? Colgo l’occasione per farle le mie congratulazioni”.

Il mondo di Totò, stralunato ed imprevedibile, è anche quello dove “I soldi si fabbricano al Policlinico dello Stato”, ma dove c’è qualcuno così povero che “nel caffelatte non ci mette né il caffè né il latte”, ragion per cui si ribadisce che non è vero che “…l’appetito vien mangiando. In realtà viene a stare digiuni”.  Perfino le malattie vengono stravolte dall’arguzia di Totò, che ci spiega, ad esempio, che “L’acme giovanile si cura con la vecchiaia”, oppure che c’è chi “ha preso una botta al malleolo del cervello e per poco non gli veniva la meningite”.  Le emergenze presenti  nell’immaginario nosocomio totoiano vanno dalle “punture di zanzara nòfale” alle “coliche apatiche”; dalle patologie più gravi (“Le manca un polmone? Un altro se ne sta andando? E lasciamolo andare, mo’ ci mettiamo a correre dietro un polmone…” ) a quelle più frequenti e banali (“Ho un ottimo rimedio contro i mali di capo, i dolori capuani”). Ovviamente la sua ironia colpisce anche molte approssimative diagnosi scientifiche (“Sia ben chiaro che i nervi partono dai piedi e arrivano alla culotta cranica”), non risparmiando neanche i farmacisti (“…vendono il cotone idrofobo”) e perfino le indagini basate sui test medici (“Ma mi faccino il piacere! Esaminando la saliva si può risalire a chi ha sputato? Che schifo!”).

4. Ogni limite ha la sua pazienza!

Si potrebbe continuare all’infinito, citando le sue battute esilaranti che coinvolgono un po’ tutti quelli che si prendono talmente sul serio da non riuscire a cogliere il ridicolo e l’assurdo della vita. Credo però, a questo punto, che sia importante sottolineare che – prescindendo dalle considerazioni che si potrebbero trarre dalla ‘filosofia’ di Totò sottesa all’esplosione espressiva dei suoi testi – gli debba essere in primo luogo riconosciuta una straordinaria capacità di usare la lingua come uno strumento rivoluzionario rispetto alla convenzionale rispettabilità borghese, ma al tempo stesso come una forma espressiva eccezionalmente creativa e ricreativa.

“Vedere le parole ridotte a mero oggetto di piacere o a cavie per strani esperimenti, provare il senso di straniamento […] che Totò infonde nel rispondere fischi per fiaschi, nel disattendere le più elementari aspettative semantiche dell’interlocutore, nell’intendere letteralmente quanto ha valore metaforico e metaforicamente quanto è letterale, insomma assistere all’apparente sbriciolarsi del verbo e al suo prodigioso ricomporsi e rinascere come fenice non fa che introdurre, dall’ingresso principale (quello che passa cioè attraverso la sfumata frontiera tra possibilità di comunicare, e quindi di interagire col mondo, e impossibilità di comunicare tutto) ai più profondi meccanismi di funzionamento delle lingue umane.” [x]

Ed è così che  – a 50 anni dalla morte – ho cercato di ricordare colui che non solo ci ha fatto ridere per generazioni, ma è anche riuscito a farci scoprire la magia di una lingua con cui si può giocare e divertirsi, scomponendo e ricomponendone con creatività gli elementi.  In un mondo dove ancora troppi mostrano di non avere il senso del ridicolo e si ritengono al di sopra degli altri, è il caso di ricordare loro, con un’altra battuta di Totò, che: “Il trombone, checché se ne dica, eziandio, è sempre un trombone”.  Per fortuna c’è stato chi ha saputo usare la comicità per metterlo a posto;  un autentico direttore d’orchestra, uno cui “piace la moseca, quella con la ‘o’ maiuscola”.

[i]  Tullio De Mauro, Prefazione, in: Fabio Rossi (2002), La lingua in gioco – Da Totò a lezione di retorica, Roma, Bulzoni,  pp. 14-15

[ii] F. Rossi, op. cit., pp. 201-202

[iii] Le citazioni seguenti sono tratte, oltre che dal testo cit., anche da altre ‘antologie’ del frasario di Totò, fra cui: Parli come badi (1994), a cura di Matilde Amorosi, con la collab. Di Liliana de Curtis, Milano, Rizzoli; Enrico Giacovelli (1994), Poi dice che uno si butta a sinistra!,  Roma, Gremese; Quisquiglie e pinzillacchere – Il teatro di Totò 1931-1946 (1980), a cura di Goffredo Fofi, Milano, Savelli

[iv] F. Rossi, op. cit., pp. 42-43

[v] Cfr. o.c. , pp. 64 ss.

[vi] Sull’argomento cfr. anche l’interessante articolo: Silverio Novelli, Il principe delle quisquliehttp://www.treccani.it/lingua_italiana/articoli/percorsi/percorsi_19.html

[vii] Gianni Canova et Al., “Totò: l’uomo e la maschera”, in: Brigantino. Il portale del Sud, http://www.ilportaledelsud.org/tot%C3%B2.htm

[viii] Roberto Escobar (1998),  Totò: avventure di una marionetta, Bologna, il Mulino (cit. in Canova et Al, o.c.)

[ix] Sigmund Freud (1905), Der Witz und seine Beziehung zum Unbewußten (Il motto di spirito e la sua relazione con l’inconscio) > http://www.newtoncompton.com/libro/il-motto-di-spirito-e-la-sua-relazione-con-linconscio-2/edizione/ebook/978-88-541-2467-7

[x] Fabio Rossi, La lingua di Totò: tra gioco, retorica, didattica e metalinguaggiohttp://host.uniroma3.it/eventi/silfi/proposte/Rossi.pdf

di Teresa Apicella - Giornalista Pubblicista. È co-ideatrice del  video-progetto “L’eternità di Partenope” dedicato a Matilde Serao, tradotta in napoletano per la prima volta. Laureata in lettere classiche e poi in linguistica, appassionata di antropologia culturale, di cose sommerse e cose che rischiano di scomparire. Amante delle differenze, a patto che attraverso di esse si riveli la ragione profonda per cui siamo tutti uguali. “Cercare e saper riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare, dargli spazio.” (Italo Calvino, Le città invisibili).